Sondrio

Leggende nostrane: Capre e Cràp

Sopra la panca campa, sotto la panca crepa. E sopra i crap vive felice!

Forse c’è un’antichissima affinità  fra questi due elementi del paesaggio montano, capre e cràp. Un’antica amicizia, ma anche inimicizia. Come se quella poca erba che può crescere nei luoghi più improbabili e strapiombanti fosse un desiderioa  cui nessuna capra può resistere.

Qualche volta le capre sono il travestimento scelto dalle streghe per ingannare gli uomini.  Siamo a Verceia, e precisamente " su in Pesciadèl", nei boschi a monte dell'Alpe Foppaccia. Sulla mulattiera che congiunge la Foppaccia all’alpe Bassetta si trova, più o meno a metà strada, una radura, denominata Pesciadèl, perché circondata da abeti e pini (pèsc). Una volta vi erano pascoli e prati dove gli abitanti di Verceia pascolavano le loro mucche. In una giornata come tante altre le mucche erano al pascolo, ma non sembravano tranquille come tutti gli altri giorni: apparivano irrequiete, sembravano non voler mangiare, ed i pastori non sapevano spiegarsi il perché di un tale comportamento. Per un bel po’ la loro attenzione fu concentrata sugli animali: temevano che fossero malati,

che si fosse diffusa qualche terribile malattia contagiosa. Poi, uno di loro notò qualcosa che sembrava aver qualche nesso con l’inquietudine delle bestie: un animale strano, che sembrava una capra, ma era molto più grande, se ne stava adagiato su un grande masso posto sul limite del bosco. Richiamò l’attenzione degli altri pastori, e tutti guardarono in direzione del sasso, per capire di che animale si trattasse. Assomigliava ad una capra, ma non poteva essere una capra, di capre così non se n’erano mai viste.  I pastori non avevano smesso di tenerlo d’occhio, curiosi ed intimoriti, quando parve muoversi. All’inizio non si capiva bene cosa volesse fare, poi uno dei pastori gridò: "Sta spingendo il masso, sta spingendo il masso". "E’ una strega, una strega" gli fece eco un altro. Infatti le grosse zampe dell’animale sembravano proprio premere sul masso per spingerlo verso valle, e gli occhi, diabolici, sembravano proprio quelli di una strega. Al che ci fu un fuggi fuggi generale: i pastori, presi dal panico, abbandonarono le mucche e se la diedero a gambe levate.

Dovette passare parecchio tempo prima che alcuni di loro, timorosi per la sorte delle proprie bestie, si decidessero a tornare al Pesciadèl. Tremavano di paura, ma si facevano forza al pensiero che se avessero perso le mucche, per le loro famiglie sarebbe stata la miseria più nera. Raggiunta la radura con cautela e circospezione, si appostarono in un luogo che ritenevano sicuro, spiando in direzione del Il Sas di Strii. La capra non c’era più, mentre il masso era rimasto là, dove lo avevano lasciato. Si fecero, allora, coraggio, e, con passi cauti e guardinghi, si avvicinarono al masso: l’animale vi aveva impresso l’orma delle sue enormi zampe.  La strega aveva tentato di far rotolare l’enorme macigno a valle, perché precipitasse sulla Foppaccia o addirittura su Verceia, provocando disastri e lutti, ma, per fortuna, non c’era riuscita. Era però rimasto, come monito terribile, l’impronta delle sue zampe sulla roccia, perché gli uomini si ricordassero della minaccia permanente che incombe su di loro. Questa è la storia della strega del Pesciadèl, e di quel masso che, da allora, venne chiamato “sas de strì”, e che ancora oggi se ne sta lì, fermo, sul limite della radura che, forse anche per paura, venne poi abbandonata come zona di pascolo.